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Tra covid ed elezioni: negli Usa la sfida dei social network è contro le fake news

Tra covid ed elezioni: negli Usa la sfida dei social network è contro le fake news

Mai come quest’anno, la sfida dei social network sarà quella di combattere la disinformazione e le fake news. Negli Usa stanno svolgendo un ruolo fondamentale nelle imminenti elezioni presidenziali: nelle scorse settimane social come Facebook, Twitter, YouTube, e anche quelli meno strumentalizzati ‘politicamente’ come TikTok e Pinterest, hanno imposto direttive molto chiare su come arginare la disinformazione sulle elezioni e le modalità di voto. Nelle prossime settimane lo sforzo maggiore sarà quello di far rispettare queste direttive in caso di risultati elettorali non schiaccianti, o contestati.

Ma facciamo un passo indietro. La principale sfida di quest’anno per le social media company è stata quella di imporre rigide regole sulla diffusione di fake news sull’epidemia da Covid 19  spesso diffuse proprio dagli account social di politici, Trump in primis, e i suoi organi di partito. Stando ai dati ufficiali sono più di 7 milioni i post rimossi da Facebook e Instagram con informazioni sbagliate sul virus, e 98 milioni le ‘etichette di avvertimento’ applicate a contenuti social giudicati fuorvianti. Stesso procedimento si è verificato nell’arginare gli effetti a cascata dei post social di Trump e alleati sulle frodi elettorali che si sono moltiplicati, soprattutto, nell’ultimo mese.

Ben venga il divieto di nuove adv politiche nelle settimane che precedono le elezioni o di diffondere informazioni premature sui vincitori, o la rimozione di post falsi sui risultati delle elezioni, o anche le etichette di avvertimento ai post che minano il risultato stesso delle elezioni. Ma saranno sufficienti a bloccare un processo messo in atto molto prima, quello cioè di insinuare il dubbio che l’intero processo elettorale sia una farsa?

‘Nella notte delle elezioni, il diavolo sarà nei dettagli’, afferma al Times Graham Brookie, direttore dell’Atlantic Council’s Digital Forensic Research Lab, istituto che traccia la disinformazione esponendo e tracciando fake news.

Quand’è che un’imprecisione diviene bufala, il pettegolezzo diviene notizia, o la fake news diviene strumento di propaganda o di business? Ne avevamo già parlato qui

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I social netowork ai GenZers? Piacciono sempre meno

I social network ai GenZers? Piacciono sempre meno

Ai ragazzi nati dopo la metà degli anni ’90, i cosiddetti GenZers, i social network piacciono sempre meno. A rivelarlo è lo studio di Dentsu Aegis Network  reso noto a fine luglio: il Digital Society Index. Il rapporto, condotto a livello mondiale su 5 mila GenZers da 18 a 24 anni, ha monitorato l’uso di Internet nei dodici mesi da maggio 2019 a maggio 2020, fino alla fine del lockdown.

In Italia un giovane su quattro nell’ultimo anno ha disattivato il proprio account. Uno su cinque è invece la media mondiale. Il Giappone si posiziona ultimo della classifica con solo un abbandono ogni venticinque utenti.

La preoccupazione principale è la sicurezza e l’uso dei propri dati personali. Ma i GenZers restano ottimisti dell’impatto positivo sulla società. Dallo studio emerge che, circa un terzo dei ragazzi nel mondo ha limitato il tempo trascorso online per quanto riguarda l’uso di telefonini e Pc (in Italia il 35%). Non solo. Diminuisce in modo rilevante lo sharing di informazioni sui gruppi. Il 43% dei giovani della Generazione Z (da noi un punto in più) ha adottato misure per ridurre la quantità di dati condivisi online. Inoltre per mantenere l’anonimato cancella la cronologia delle ricerche ed esegue navigazioni in incognito con Chrome.

Metà degli under 24 è convinto poi che Intelligenza Artificiale e robotica creeranno opportunità di lavoro fondamentali nei prossimi cinque anni. Ma ritiene necessario da parte delle aziende informatiche di seguire precise regole di etica applicata a questo specifico settore.

Un’ultima curiosità: per i GenZers è meglio una faccina per chiudere una frase che un punto. Lo avreste mai detto?

Un influencer come Marco Montemagno, esperto di tecnologia, sui social e i ragazzi la pensa così.

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La comunicazione aziendale ai tempi del lockdown? Promossa a pieni voti

La comunicazione ai tempi del lockdown? Promossa a pieni voti.

La comunicazione aziendale ai tempi del lockdown promossa a pieni voti: ad affermarlo è il rapporto CensisAscai sulla Comunicazione di impresa in Italia. L’obiettivo della ricerca è stato quello di rilevare le modalità e i contenuti che stanno guidando i processi e i comportamenti comunicativi delle aziende nell’emergenza sanitaria, e quali sono i cambiamenti destinati ad affermarsi nella comunicazione corporate da adesso in poi.

La pandemia ha generato un’onda d’urto che ha avuto effetti importanti nella comunicazione delle aziende con i dipendenti. Cosa ha colpito nel segno? Prima di tutto l’informazione. Soprattutto nel far sentire la vicinanza, laddove per ragioni di emergenza sanitaria occorreva stare distanti: ben il 93,2% dei lavoratori italiani, fotografa il rapporto Censis-Ascai, ha avuto modo di leggere, ascoltare, guardare su giornali e riviste, in tv, radio o su Web e social l’advertising delle aziende.

“Ampia – si legge –  è stata la visibilità della comunicazione corporate, da quella mirata a ringraziare pubblicamente i propri dipendenti per l’impegno profuso, al richiamo ad iniziative di solidarietà, fino alle incitazioni a comportamenti responsabili e attenti”. E le reazioni sono state più che positive: ben il 62,4% dei lavoratori di fronte alla comunicazione in cui si è imbattuto ha avuto una qualche reazione positiva, con percentuali che arrivano al 66% tra i millennial, al 66,4% tra dirigenti e direttivi, al 62,5% tra i laureati. Secondo la ricerca, questa buona pratica continuerà: per il 46,8% dei lavoratori italiani la comunicazione aziendale nel futuro dovrà coinvolgere, motivare, far sentire i lavoratori parte integrante di una comunità, con percentuali più elevate tra chi ricopre posizioni apicali (60%) e laureati (52,1%).

L’esperienza del lockdown ha radicato il bisogno di sentirsi parte di una comunità aziendale, che non lascia soli i dipendenti. Pensando al domani, il 52,6% degli intervistati ritiene che il peso della comunicazione aziendale nei processi decisionali crescerà ulteriormente. Come? Attraverso trasparenza e sincerità sul vissuto delle persone, attenzione al posto di lavoro, al benessere dei dipendenti, alla collettività.

E per quanto riguarda lo smartworking? Il tema è molto caldo, noi di eos comunica lo seguiamo da vicino. Pensando al futuro dei contesti aziendali nel post Covid-19, per il 52,6% dei lavoratori italiani ci sarà più smartworking. L’esperimento di massa del lavoro a distanza avvenuto nel lockdown non è percepito come estemporaneo, ma destinato a ridefinire il lavoro e il rapporto tra dipendenti e azienda: qui si innesta una sfida decisiva per la comunicazione aziendale interna, percepita come fondamentale nel garantire la coesione dentro comunità aziendali alle prese con modelli ibridi di erogazione del lavoro tra distanza e compresenza fisica.

Questo sentiment trova corrispondenza anche nell’altro lato della medaglia, quella dei comunicatori aziendali. Stando all’indagine Censis-Ascai il 78,2% valuta in modo ottimo o buono l’operato complessivo della comunicazione aziendale durante il lockdown che ha avuto anche il ruolo decisivo di massimizzare l’impatto delle iniziative adottate durante l’emergenza: dall’adozione di politiche e strumenti per il lavoro a distanza (100%), ad iniziative di responsabilità sociale di impresa (78,2%), a quelle di formazione (75,6%), a iniziative di riconoscimento pubblico dell’impegno dei dipendenti (75,6%), fino all’attivazione di strumenti di caring per la gestione della vita lavorativa e privata (66,7%). Nel futuro della professione due parole d’ordine: innovazione e integrazione: per l’83,3% degli intervistati sarà necessario da una parte sviluppare nuove competenze digitali, culturale e relazionali per stare al passo coi tempi, dall’altra rendere più forte l’intreccio tra comunicazione interna e comunicazione esterna.

Per la visione integrale del rapporto Censis–Ascai clicca qui.

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Il giornalismo? Si fa su Linkedin! L’Economist ne sa qualcosa.

Il giornalismo?

Si fa su Linkedin. Parola di Economist

Per fare giornalismo occorre scegliere bene su quale social network stare. E’ finito il tempo del basta esserci, occorre avere una strategia. E’ quello che hanno fatto all’Economist, storico settimanale d’informazione politico-economica in lingua inglese, dove per due anni hanno studiato il modo migliore per essere presenti su Linkedin prima di tutto, contando su un bacino di oltre 700 milioni di utenti tra professionisti del business e persone alla ricerca di un impiego. Qualche numero sul social network per provare a contestualizzare: la consultazione da mobile, soprattutto per le notizie e l’informazione, è in forte espansione e il numero di utenti mobili di LinkedIn lo riflette: parliamo di 63 milioni di utenti unici al mese che consultano il social dal telefonino. Chi accede al social network? Parliamo della piattaforma di social media più utilizzata tra le società Fortune 500 con oltre mezzo miliardo di professionisti di tutto il mondo che si riuniscono su LinkedIn.

Insomma, studiare una strategia di content mirata per un giornale tanto influente come l’Economist non è stata affatto una mossa sbagliata. Anzi! In un anno i follower sono cresciuti del 39,5 per cento, i commenti sono aumentati del 251 per cento e, come risultato finale, sono cresciuti di molto gli abbonamenti provenienti dal social network,  fino ad arrivare ad un più che considerevole aumento del 300 per cento. Certo, Facebook e Twitter non sono stati abbandonati, si continua a fa condivisione ed a portare traffico al sito, ma non sono più il luogo principe in cui fare media business.

Qual è stata la strategia dell’Economist su Linkedin? Tenendo conto della differenza di fuso orario per una testata che viene letta in tutto il mondo, ogni giorno vengono pubblicate nove storie che spaziano, come la rivista online e cartacea sui temi dell’attualità, dell’economia, che resta il punto cardine, della politica e della cultura. E alcune di queste notizie trovano spazio anche sul canale YouTube come l’intervista a sir David Attenborough, divulgatore scientifico e naturalista britannico. 

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Il futuro degli eventi: the show must go on(line)

Il futuro degli eventi: the show must go on(line)

L’emergenza sanitaria ha causato la chiusura delle frontiere, nonché la cancellazione di tantissimi eventi a livello globale (alcuni di questi avrebbero reso protagonisti anche i clienti di eos comunica). Ma perché l’evento è una componente così importante del business aziendale?

Il valore aggiunto di questo canale di marketing sta nel fatto che l’incontro avviene su un territorio comune che non è quello dell’azienda fornitrice, né quello della potenziale cliente, il che rende la relazione più libera e slegata da vincoli.

In un presente in cui il distanziamento sociale ha colpito, giustamente, ogni parte delle nostre vite personali e lavorative, è importante che questa dimensione umana degli eventi non vada persa, sfruttando tutte le potenzialità che la tecnologia mette a disposizione per convertirli in appuntamenti digitali.

È proprio in quest’ottica che, in attesa dell’undicesima edizione del Salone del Salone del Risparmio (posticipata al 2021) Assogestioni, in collaborazione con FocusRisparmio e le società sostenitrici dell’evento, ha organizzato un ciclo di incontri in live streaming dedicati ai principali temi di interesse per il settore.

Il primo degli appuntamenti, tenutosi lunedì 15 giugno, ha avuto come tema centrale: PIR: il risparmio al servizio dell’economia reale. Dai mercati quotati agli strumenti illiquidi. Il team social di eos comunica ha curato la cronaca live dell’evento sulla pagina Twitter di FocusRisparmio.

Questo ciclo di incontri online vuole essere un modo per dare continuità alla manifestazione, proseguendo il dialogo con i professionisti e offrendo loro opportunità informative e formative.

Quello che stiamo vivendo è, insomma, un periodo storico unico, che ci sta obbligando a cambiare e a evolverci per poterci adattare a questa nuova realtà. Questa nuova forma mentis si impone, oltre che sugli stili di vita, anche in ambito marketing, spingendo gli addetti ai lavori a riformulare le proprie strategie di business.

È quello che ha fatto TMP Group, Digital Agency milanese per la quale curiamo l’ufficio stampa e le relazioni con i media, che ha lanciato, in collaborazione con YEG! e Protocube by Reply, Digital Events e Digital Square, due nuove soluzioni di fruizione degli eventi in grado di dare continuità al settore dell’event planning, proponendo una socialità 2.0.

L’idea nasce dall’esigenza di creare nuovi orizzonti comunicativi: le due soluzioni rientrano infatti in un sistema che integra reale e virtuale. Digital Events, tramite la predisposizione di piattaforme di live streaming e stanze virtuali, permette di la virtualizzazione degli eventi aziendali attraverso una fluida interazione tra i partecipanti grazie a una location fisica attrezzata a studio televisivo e a una tecnologia sottostante capace di rendere la partecipazione completamente funzionale.

Digital Square nasce invece per soddisfare le richieste degli enti-fiera. Si tratta di una configurazione di padiglioni e showroom in 3D capace di replicare l’esposizione e l’interazione degli spazi espositivi B2B e B2C, aprendo così le porte a un futuro nel quale evento fisico ed evento digitale sono un’unica soluzione senza confini.

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Ufficio stampa e social media marketing possono lavorare insieme?

Ufficio stampa e social media marketing possono lavorare insieme?

Molte aziende, spesso, si trovano di fronte a questo interrogativo: quando si tratta di investire in comunicazione, meglio puntare sull’ufficio stampa o sulle attività di social media marketing?

La risposta che sentiamo di dare è: su entrambi. E le ragioni sono molteplici. Un esempio? Adesso le cosiddette “pubbliche relazioni” vanno cercate, costruite e mantenute anche con blogger e influencer. Personalità particolarmente interessanti e competenti nella loro sfera d’azione, e che interagiscono tramite i social network.

L’era dei maxi-uffici stampa è finita. Un tempo, questi erano gli unici in grado di “parlare” con le maggiori testate giornalistiche o con le grandi emittenti televisive. Ora la realtà è ben diversa ed è costellata da piccole e grandi comunità – pagine web, blog, account social – in cui gravita buona parte della clientela a cui mirano le aziende.

La presenza pervasiva, per certi versi invasiva, dei social network nel mondo della comunicazione ha indotto molti a pensare: l’ufficio stampa non serve più.

Ma chi come noi ha a che fare con queste dinamiche quotidianamente sa che è un errore. L’ufficio stampa parla attraverso i giornali. I social network parlano attraverso le persone. Non sono due realtà concorrenti ma alleate.

Ecco perché la scelta migliore per le aziende consiste in una strategia rivolta alla stampa (generalista o di settore) e parallelamente ai social network, con metodi, tempistiche e contenuti differenziati.

Una volta appurato che l’addetto stampa e il social media manager non sono in competizione, la sfida è coordinarne le azioni. La soluzione migliore? Affidarsi a un’agenzia di comunicazione come eos comunica, dove è più facile intraprendere strategie condivise. E soprattutto, dove addetto stampa e social media manager si trovano (spesso) nella stessa stanza!

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eos comunica lancia il servizio Podcast!

eos comunica lancia il servizio Podcast!

Finalmente ci siamo! Dopo tanto (tanto) lavoro, eos comunica è pronta a lanciare un nuovo servizio, i Branded Podcast. Di che si tratta?

Un podcast è una breve trasmissione radio registrata digitalmente e resa disponibile su Internet. È scaricabile e riproducibile in qualunque momento, su qualsiasi dispositivo (computer, smartphone, tablet), indipendentemente dall’orario di trasmissione.

Perché abbiamo deciso di buttarci in questa nuova avventura? Perché crediamo fermamente che sia necessario investire nel futuro, in nuovi modi di comunicare e di raccontare i valori dei nostri clienti.

Secondo i dati della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali), tra il 2005 e il 2018 la diffusione dei quotidiani cartacei si è dimezzata. Tra i lettori di quotidiani, spopolano gli over 55. Significa che i trentenni e i quarantenni hanno smesso di informarsi?

No, stiamo solo assistendo a una progressiva “disaffezione” nei confronti delle fonti d’informazione classiche e mainstream. Il tutto a vantaggio di una “dieta mediatica” che è sempre più diversificata e pensata come on demand.

Insomma, l’era geologica dei libri e dei giornali cartacei è ora superata da infinite possibilità, più rapide, tutte nello smartphone: serie tv, video su YouTube e giochi.

Eppure il fascino del racconto non muore, ma (ri)trova nuove vie: quella, per esempio, dell’audio e della storia narrata a voce. L’audio è lo strumento ideale per raccontare storie, per stimolare l’ascoltatore a usare la propria immaginazione. Creando intimità e connessione.

Immaginiamo quindi un podcast come un diario, una sorta di mini-blog, disponibile sotto forma di file audio, da ascoltare ovunque, in qualsiasi momento. Indipendentemente da quale hobby, interesse o tematica si apprezzi, si troverà sicuramente un podcast adatto alle proprie esigenze: basti pensare che In Italia sono 2,7 milioni gli ascoltatori abituali di podcast!

eos comunica servizio podcast

Non deve sorprendere quindi che molte aziende considerino i Branded Podcast uno strumento efficace con cui attuare la loro Content Marketing Strategy, anche a fronte della loro “flessibilità”.

I Branded Podcast possono infatti avere declinazioni differenti a seconda dei diversi obiettivi di comunicazione. Produrre un buon contenuto, coerente con i valori di un Brand e con i suoi obiettivi di business, permette di guadagnare la fiducia di persone pronte ad ascoltarlo (più volte) nel tempo.

Noi siamo pronti, e voi?

 

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Come realizzare un piano di comunicazione in sette punti

Come realizzare un piano di comunicazione in sette punti

Che cos’è un piano di comunicazione? Chiunque lavori in un’agenzia di comunicazione come eos comunica si ritroverà ad aver a che fare (quasi) giornalmente con questo tipo di attività. Si tratta di un processo che illustra le strategie, i tempi e le risorse che saranno impiegati per raggiungere un determinato obiettivo. Un esempio? Lanciare o rafforzare la presenza di un’azienda sulla stampa, sul web e sui social.

Redigere un piano di comunicazione efficace non è semplice: tutte le risorse dell’agenzia devono agire in perfetta armonia, consapevoli del proprio ruolo. Naturalmente, ogni piano di comunicazione differisce dai suoi simili in base agli obiettivi del cliente, ma quasi tutti richiedono alcuni elementi fissi. Noi di eos comunica abbiamo raccolti per voi!

Il contesto

Il primo elemento da inserire in un piano di comunicazione efficace è una descrizione del contesto – economico, geografico, organizzativo – in cui opera l’azienda cliente: serve un’analisi accurata per individuare tutte quelle criticità sulle quali si dovrà intervenire.

Gli obiettivi

Indicare gli obiettivi da raggiungere è indispensabile, anche se sono stati già definiti in fase di colloquio preliminare. È importante svilupparli ulteriormente, aggiungendo nuovi dettagli che saranno utili a un’eventuale valutazione.

Il target

Chi sono i destinatari del piano di comunicazione? Dove vivono, quali sono i loro interessi? Insomma, è fondamentale capire la fascia di pubblico da intercettare.

I tempi

Il piano di comunicazione deve includere, dove possibile, la calendarizzazione di ogni singola attività. Meglio evitare di fare riferimento a un futuro non meglio specificato.

I costi

Nel pianificare le azioni di comunicazione occorre tenere conto dei costi, compresi quelli extra. In base al budget a disposizione dell’azienda, si possono infatti utilizzare determinati canali e strumenti. Per fortuna, le opportunità offerte oggi del web sono molto valide, anche con un piccolo investimento.

La strategia

Questa tappa comprende la programmazione dei contenuti nei canali prescelti. Vengono quindi scelti i mezzi di comunicazione più idonei: meglio implementare il sito internet o la newsletter? È più opportuno realizzare una campagna sui social o organizzare un evento? È in questa fase che si denota il valore (prezioso) di un’agenzia di comunicazione.

Il monitoraggio

Per verificare l’efficacia della strategia – ed eventualmente apportare delle correzioni in corso d’opera – è opportuno includere nel piano degli strumenti di monitoraggio. Una buona reportistica è utile non solo all’azienda cliente, ma anche (e soprattutto) all’agenzia!

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Social media marketing: quattro trend per il 2020

Social media marketing: quattro trend per il 2020

Questo 2020 appena iniziato sarà un anno cruciale per il mondo del social media marketing. Il 1° gennaio non è iniziato solo un nuovo anno, ma un nuovo decennio, una fase importante per moltissimi social network: quella della piena maturità.

Per i marketer, e per noi di eos comunica, sarà dunque fondamentale continuare a connettersi con il proprio target. In un mondo come quello dei social ormai saturo di contenuti, la parola d’ordine sarà distinguersi. Ecco quindi quattro trend da tenere d’occhio per questo 2020.

Pubblicità sì, ma meglio

I social network sono ormai piattaforme paid media, e nel 2020 lo saranno sempre di più. Nel contempo, gli utenti continueranno a orientarsi verso conversazioni più ristrette, private, intorno a temi distinti. Le aziende hanno quindi una grande occasione: lanciare, a loro volta, gruppi specifici, per dare vita a community social.

L’importanza di essere di nicchia

È vero, Facebook resta il social con il maggior numero di utenti: oltre due miliardi e mezzo nel 2019. Ma il 2020 sarà l’anno di affermazione di piattaforme sempre più verticali, come TikTok: l’app dei teenager che consente di caricare brevi video musicali ha appena raggiunto il miliardo di utenti.

Video, video, video

Coinvolgenti, appassionanti, sia in formato breve (come le Stories di Instagram o i video di TikTok), sia in formato racconto o tutorial: i video sono il presente e il futuro dei social network. Entro il 2022, rappresenteranno l’82% di tutti i contenuti online (dati Cisco).

Stories: sempre più amate

La pubblicazione di brevi video disponibili per ventiquattro ore è cresciuta esponenzialmente negli ultimi tre anni. Questa tendenza non è sfuggita agli esperti di marketing e, secondo un recente report di Hootsuite, nel 2020 il 64% la inserirà nelle proprie strategie aziendali.

Crescono i micro-influencer

Sono personaggi che hanno un seguito importante in nicchie specifiche. Non si tratta di contatti con numeri esorbitanti, ma di persone che utilizzano i canali social per comunicare le proprie passioni. Per molte aziende è più economico coinvolgere loro che sviluppare campagne pubblicitarie da zero. Ecco perché la loro importanza è destinata a crescere!

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Social network e professionisti del credito: l’intervento di Paolo Monti al Leadership Forum

Social network e professionisti del credito: l’intervento di Paolo Monti al Leadership Forum

Quali sono i social network più strategici per i professionisti? È necessario essere presenti su ogni social o è meglio focalizzarsi su un’unica piattaforma? Sono solo alcune delle domande a cui Paolo Monti, co-founder di eos comunica insieme a Daniela Mase, è stato chiamato a rispondere ieri a Milano, in occasione della tredicesima edizione del Leadership Forum, l’evento rivolto agli specialisti dell’intermediazione creditizia in Italia a cura di EMFgroup.

L’evento che ha accolto oltre settanta relatori da tutta Italia si è articolato in dieci sessioni dedicate al tema: Resilienza del Passato, Forza per il Futuro. Ad aprire i lavori del Forum, l’intervento del docente ed economista Ettore Gotti Tedeschi, che ha aperto uno spiraglio sul ruolo dell’economia italiana nel contesto, sempre più complesso, dell’Unione Europea.

Nel corso della tavola rotonda dal titolo L’Innovazione e i Social Media a servizio del business del credito, si è parlato della differenza tra “aprire un account” su un social network ed “esservi presenti”, soprattutto in termini di credibilità e brand reputation.

Come ha sottolineato Paolo Monti, oggi sul mercato ci sono molte piattaforme a disposizione delle aziende, ognuna con specifiche funzioni e target definiti. Non è pensabile, né tantomeno strategico per un’azienda che opera nel credito, scegliere di essere su tutti i social network.

Le motivazioni? «La dispersione dei messaggi, solo per citarne una» ha spiegato Paolo Monti «Ogni social network ha un suo proprio linguaggio: posizionarsi su tutte le piattaforme potrebbe rappresentare un autogol se non si pianifica una strategia molto precisa. Non solo, alcuni social network, proprio per le loro caratteristiche intrinseche, non sono predisposti ad accogliere tutti i settori. A sua volta il mercato finanziario, che ha linguaggi e messaggi molto spesso tecnici e settoriali, non si presta a ogni tipo di pubblico».

In ogni caso è importante affidarsi alla consulenza di un professionista esperto o di un’agenzia di comunicazione, in grado di pianificare una strategia nel breve e nel lungo termine, e di veicolare i messaggi giusti a un pubblico in grado di recepirli.

Ma qual è la piattaforma più adatta quando si parla di intermediazione creditizia? «In linea generale, ai professionisti alla ricerca di clienti suggerisco di concentrarsi su Facebook e LinkedIn» ha risposto Paolo Monti «Facebook consente uno storytelling molto orizzontale: articoli, foto, video, inoltre ha un ottimo strumento di customer care. LinkedIn è il social network per eccellenza dedicato ai professionisti: dà la possibilità di scrivere contenuti e articoli, si possono creare gruppi verticali su un tema, e, per gli esperti del settore economico, è un ottimo strumento per fare educazione finanziaria».

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