L’enorme successo di un social network può comportare per i propri creatori non poche problematiche legate alla “pulizia” e alla qualità dei contatti presenti. Un caso esemplare è quello di Instagram: negli ultimi anni la piattaforma di proprietà della Facebook Inc. è stata letteralmente invasa da centinaia di migliaia di profili falsi e bot, acquistati da persone reali per aumentare il numero di seguaci e like sui propri contenuti.
Nel tentativo di mantenere alto il livello qualitativo dell’esperienza sul social network, gli sviluppatori di Instagram hanno messo a punto una serie di penalizzazioni, più o meno dure, per scovare i “furbi” che non rispettano le linee guida. Una di queste è lo shadow ban.
Per capire di che si tratta, è sufficiente analizzare i due termini inglesi shadow, “ombra” e ban, “interdizione”. Questa funzione di Instagram ha dunque lo scopo di limitare la visibilità dei contenuti di un account, di metterli in ombra.
Il proprietario del profilo continuerà a vedere i propri post, così come li vedranno i suoi fan. Ma allora chi non li vedrà? Il resto del mondo, le persone non seguite, tutti i potenziali nuovi follower.
Se qualche post è stato colpito dallo shadow ban, il proprietario dell’account non si renderà conto di nulla, se non di un estremo calo dell’engagement. I post “danneggiati” non appariranno nelle sezioni dei relativi hashtag che lo accompagnano, diventando quindi dei veri e propri fantasmi con pochissime interazioni.
Ma quali sono i post maggiormente colpiti da shadow ban? Si tratta di una penalizzazione in cui è facile incappare, soprattutto se non si rispettano i requisiti dettati dal regolamento di Instagram. Se si utilizzano ad esempio gli hashtag bannati (l’elenco è in continuo aggiornamento, ecco quello aggiornato al 2019, contenente anche gli insospettabili come #curvy, #bikinibody o #beautyblogger!). Se si adoperano hashtag troppo generici e con milioni di utilizzi. Se si duplicano gli hashtag all’interno dello stesso post o all’interno di post differenti. Esistono inoltre alcuni “hashtag sensibili” che spesso vengono inondati da immagini violente o pornografiche, mentre i relativi post vengono commentati in maniera automatizzata da software creati appositamente per questo scopo (magari da utenti neanche reali). Insomma, esistono diverse ragioni, tutte piuttosto banali.
Se si tratta di un account business, è comprensibile la preoccupazione nel veder vanificato tutto il lavoro finora dedicato al proprio profilo. Una volta terminato il periodo di penalizzazione, dunque, è importante tornare a postare normalmente, evitando in tutti i modi di compiere azioni sospette o che potrebbero ulteriormente attivare una nuova penalità.
SOS shadow ban: come evitare di diventare dei “fantasmi” su Instagram
L’enorme successo di un social network può comportare per i propri creatori non poche problematiche legate alla “pulizia” e alla qualità dei contatti presenti. Un caso esemplare è quello di Instagram: negli ultimi anni la piattaforma di proprietà della Facebook Inc. è stata letteralmente invasa da centinaia di migliaia di profili falsi e bot, acquistati da persone reali per aumentare il numero di seguaci e like sui propri contenuti.
Nel tentativo di mantenere alto il livello qualitativo dell’esperienza sul social network, gli sviluppatori di Instagram hanno messo a punto una serie di penalizzazioni, più o meno dure, per scovare i “furbi” che non rispettano le linee guida. Una di queste è lo shadow ban.
Per capire di che si tratta, è sufficiente analizzare i due termini inglesi shadow, “ombra” e ban, “interdizione”. Questa funzione di Instagram ha dunque lo scopo di limitare la visibilità dei contenuti di un account, di metterli in ombra.
Il proprietario del profilo continuerà a vedere i propri post, così come li vedranno i suoi fan. Ma allora chi non li vedrà? Il resto del mondo, le persone non seguite, tutti i potenziali nuovi follower.
Se qualche post è stato colpito dallo shadow ban, il proprietario dell’account non si renderà conto di nulla, se non di un estremo calo dell’engagement. I post “danneggiati” non appariranno nelle sezioni dei relativi hashtag che lo accompagnano, diventando quindi dei veri e propri fantasmi con pochissime interazioni.
Ma quali sono i post maggiormente colpiti da shadow ban? Si tratta di una penalizzazione in cui è facile incappare, soprattutto se non si rispettano i requisiti dettati dal regolamento di Instagram. Se si utilizzano ad esempio gli hashtag bannati (l’elenco è in continuo aggiornamento, ecco quello aggiornato al 2019, contenente anche gli insospettabili come #curvy, #bikinibody o #beautyblogger!). Se si adoperano hashtag troppo generici e con milioni di utilizzi. Se si duplicano gli hashtag all’interno dello stesso post o all’interno di post differenti. Esistono inoltre alcuni “hashtag sensibili” che spesso vengono inondati da immagini violente o pornografiche, mentre i relativi post vengono commentati in maniera automatizzata da software creati appositamente per questo scopo (magari da utenti neanche reali). Insomma, esistono diverse ragioni, tutte piuttosto banali.
Se si tratta di un account business, è comprensibile la preoccupazione nel veder vanificato tutto il lavoro finora dedicato al proprio profilo. Una volta terminato il periodo di penalizzazione, dunque, è importante tornare a postare normalmente, evitando in tutti i modi di compiere azioni sospette o che potrebbero ulteriormente attivare una nuova penalità.
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