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Social Network: il balzo di TikTok nel cuore degli italiani

Social Network: il balzo di TikTok nel cuore degli italiani

TikTok fa un balzo in avanti nel cuore degli italiani come uno tra i social preferiti: la comunità di video globale registra a giugno 2020 un +20,5% come fotografa l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel suo Osservatorio sulle Comunicazioni del 2020.  Nel periodo di analisi, marzo-giugno 2020, nonostante l’allentamento delle misure di contenimento dell’epidemia, il social media di mini video frequentato dai giovani di tutto il mondo è stato utilizzato, nel nostro paese, da 6,6 milioni di utenti. Parliamo di un balzo che fa notizia se si pensa che, rispetto a giugno 2019 quando TikTok contava meno di 1 milione di utenti, il social network ha registrato un aumento a tripla cifra con un +593%.

A seguire questo trend positivo è, inaspettatamente, Pinterest, frequentato a giugno 2020 da 16,7 milioni di utenti unici (+12,2 punti percentuali). E i social network più classici? Facebook, con quasi 37 milioni di utenti unici e una contrazione su base trimestrale del 4%, si conferma la principale piattaforma utilizzata dagli utenti. Analoga tendenza si osserva per Instagram, Linkedin e Twitter i cui consumi a giugno 2020 si attestano sui valori di dicembre, ma in sensibile calo se confrontati con quelli registrati nel periodo di lockdown (rispettivamente -36%; -12,2% e -21,8%).

L’Osservatorio conferma, tra gli altri, i trend negativi del settore dell’editoria già evidenziati nei precedenti Osservatori: nel mese di giugno 2020, la vendita di quotidiani (cartacee e online) subisce una flessione del 25% su base annua per un totale di 2,1 milioni di copie: nella forbice giugno 2016/giugno 2020 le copie giornaliere cartacee complessive vendute dai principali editori si sono quasi dimezzate, passando da circa 2,3 a 1,3 milioni di unità, mente le copie digitali hanno registrato un incremento se si considerano i valori di giugno 2019 (+11%) ma una flessione (-21%) se consideriamo l’intero periodo.

Riguardo al settore televisivo, rispetto a giugno 2019 la Rai, nonostante la contrazione della propria quota (-0,8 %), continua a mantenere la leadership con una share del 34%; al secondo posto, Mediaset, che con 3,2 milioni di telespettatori nel giorno medio, registra un incremento (0,8 punti percentuali) e raggiunge una share del 31,8%. Analizzando l’evoluzione delle audience delle edizioni serali dei principali programmi di informazione, Tg1 e Tg5 si confermano nel giorno medio i più seguiti (complessivamente con circa 8,4 milioni di ascoltatori e una crescita, rispettivamente, di +1,7% e +0,4%). Al terzo posto si colloca l’edizione serale della testata a carattere locale di Rai 3 (TgR) con una share, pari al 15,1%, in crescita di +3,5%.

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Tra covid ed elezioni: negli Usa la sfida dei social network è contro le fake news

Tra covid ed elezioni: negli Usa la sfida dei social network è contro le fake news

Mai come quest’anno, la sfida dei social network sarà quella di combattere la disinformazione e le fake news. Negli Usa stanno svolgendo un ruolo fondamentale nelle imminenti elezioni presidenziali: nelle scorse settimane social come Facebook, Twitter, YouTube, e anche quelli meno strumentalizzati ‘politicamente’ come TikTok e Pinterest, hanno imposto direttive molto chiare su come arginare la disinformazione sulle elezioni e le modalità di voto. Nelle prossime settimane lo sforzo maggiore sarà quello di far rispettare queste direttive in caso di risultati elettorali non schiaccianti, o contestati.

Ma facciamo un passo indietro. La principale sfida di quest’anno per le social media company è stata quella di imporre rigide regole sulla diffusione di fake news sull’epidemia da Covid 19  spesso diffuse proprio dagli account social di politici, Trump in primis, e i suoi organi di partito. Stando ai dati ufficiali sono più di 7 milioni i post rimossi da Facebook e Instagram con informazioni sbagliate sul virus, e 98 milioni le ‘etichette di avvertimento’ applicate a contenuti social giudicati fuorvianti. Stesso procedimento si è verificato nell’arginare gli effetti a cascata dei post social di Trump e alleati sulle frodi elettorali che si sono moltiplicati, soprattutto, nell’ultimo mese.

Ben venga il divieto di nuove adv politiche nelle settimane che precedono le elezioni o di diffondere informazioni premature sui vincitori, o la rimozione di post falsi sui risultati delle elezioni, o anche le etichette di avvertimento ai post che minano il risultato stesso delle elezioni. Ma saranno sufficienti a bloccare un processo messo in atto molto prima, quello cioè di insinuare il dubbio che l’intero processo elettorale sia una farsa?

‘Nella notte delle elezioni, il diavolo sarà nei dettagli’, afferma al Times Graham Brookie, direttore dell’Atlantic Council’s Digital Forensic Research Lab, istituto che traccia la disinformazione esponendo e tracciando fake news.

Quand’è che un’imprecisione diviene bufala, il pettegolezzo diviene notizia, o la fake news diviene strumento di propaganda o di business? Ne avevamo già parlato qui

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Stop Hate for Profit: da Coca Cola a Unilever, i big sospendono la pubblicità a pagamento su Facebook

Stop Hate for Profit: da Coca Cola a Unilever, i big sospendono la pubblicità a pagamento su Facebook

Per il gruppo di Menlo Park, il business della pubblicità a pagamento su Facebook e Instagram vale circa settanta miliardi di dollari ogni anno: un quarto di questa cifra proviene da grandi investitori e, proprio in questi giorni, rischia di andare in fumo grazie alla campagna globale Stop Hate for Profit.

Stop Hate for Profit è l’iniziativa messa in campo lo scorso 17 giugno dalla ONG statunitense Color of Change per spingere il colosso dei social media a intervenire con maggiore decisione contro i contenuti altamente problematici che da sempre circolano sulla piattaforma: fake news, discorsi che incitano all’odio e alla violenza, post a sfondo razzista e discriminatorio.

Per raggiungere il proprio obiettivo, l’iniziativa Stop Hate for Profit esorta tutte le aziende presenti sulla piattaforma a sospendere, almeno per tutto il mese di luglio, le campagne di paid advertising. Tra le prime multinazionali che hanno aderito scegliendo di mettere in pausa i propri investimenti ci sono realtà del calibro di Coca Cola, Unilever e Verizon.

Alla campagna di boicottaggio, hanno poi iniziato a unirsi altri brand come Honda, Ford, Levi Strauss, Patagonia e The North Face, per un totale di centosessanta aziende, che hanno dichiarato pubblicamente uno stop agli investimenti in Facebook e Instagram advertising, fino a quando i social di Mark Zuckerberg non prenderanno posizione segnalando i post a sfondo razziale e di istigazione alla violenza, primi fra tutti quelli di Donald Trump.

Nei giorni scorsi, Facebook ha accusato il colpo in termini di reputazione e immagine, come testimoniato dalla brusca contrazione del titolo in borsa (-8,6%) nella giornata di venerdì 26 giugno, con una perdita di miliardi di dollari di capitalizzazione in poche ore.

La risposta di Zuckerberg quindi non si è fatta attendere. Nel fine settimana Facebook ha dichiarato che etichetterà i post dei politici, qualora ritenuti falsi, discriminatori o contenenti informazioni fuorvianti, pur non eliminandoli nel nome dell’interesse pubblico.

«Investiamo miliardi di dollari ogni anno per mantenere la nostra comunità sicura e lavoriamo costantemente con esperti esterni per rivedere e aggiornare le nostre policy» ha dichiarato in una nota: «Abbiamo bandito duecentocinquanta organizzazioni della supremazia bianca da Facebook e Instagram. Gli investimenti che abbiamo fatto in Intelligenza Artificiale ci permettono di individuare quasi il 90% dei discorsi d’odio su cui interveniamo prima che gli utenti ce li segnalino. Sappiamo di avere ancora molto lavoro da fare e continueremo a collaborare con i gruppi per i diritti civili e altri esperti per sviluppare ancora più strumenti, tecnologie e policy per continuare questa lotta».

Basterà?

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“Gli italiani e i social media 2019”: il nuovo report di Blogmeter

“Gli italiani e i social media 2019”: il nuovo report di Blogmeter

Con il report Gli italiani e i social media 2019, il tool di social intelligence Blogmeter torna a indagare chi sono e cosa fanno sui social network gli utenti residenti nel nostro Paese.

A partire da un campione rappresentativo – per genere, età e area geografica – di millecinquecento intervistati, la survey è riuscita a realizzare una “mappatura” delle motivazioni che spingono gli italiani a utilizzare i social.

Social “di cittadinanza” e social “funzionali”

All’interno del proprio report, Blogmeter identifica due differenti tipologie di social network: “di cittadinanza” e “funzionali”. I primi sono utilizzati in maniera quotidiana e sono indispensabili quando si tratta di definire identità e “cittadinanza digitale”. Il più usato? Naturalmente Facebook, seguito da YouTube e Instagram.

Anche Pinterest si rafforza in termini di diffusione, caratterizzandosi sempre di più come social di cittadinanza.

Chiudono la classifica i servizi di messaggistica istantanea come Whatsapp, Telegram e Messenger, definiti “di cittadinanza” in quanto utilizzati ampiamente dalla stragrande maggioranza degli italiani.

I social “funzionali”, invece, si chiamano così perché assolvono a uno scopo specifico, che sia prenotare un ristorante (Tripadvisor) o videochiamare un amico lontano (Skype).

Ma non è tutto: quest’anno si è aggiunta una terza tipologia di social network: si tratta di piattaforme come WeChat, Snapchat e Tik Tok, utilizzate esclusivamente dai giovani della Generazione Z e dai giovanissimi della Generazione Alpha (i bambini nati dopo il 2010 che oggi hanno dai 2 ai nove anni di età e non hanno mai visto un mondo senza tecnologia).

Modalità stalker: on

Ebbene sì, la principale ragione che spinge gli italiani a utilizzare i social media è leggere i contenuti altrui: il 43% degli intervistati, infatti, dichiara di servirsi dei social unicamente per questo motivo. Un buon 12% li adopera invece per scrivere contenuti originali.

Nello specifico Facebook, il più citato dagli intervistati, è utilizzato prevalentemente per informarsi, condividere opinioni e leggere recensioni, YouTube è la piattaforma più amata per svagarsi o trovare stimoli, mentre Instagram si conferma, anche quest’anno, il social ideale per seguire gli influencer.

A proposito di Instagram, grande novità di quest’anno è la sezione dedicata alle Stories: il 32% degli italiani le preferisce ai post, meglio ancora se realizzate da personaggi famosi. Simpatici, spontanei, in una parola influencer: nella top quattro dei più amati, i protagonisti del matrimonio più social dell’anno, Chiara Ferragni e Fedez, seguiti a vista da Cristiano Ronaldo e ClioMakeUp.

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Cucciolandia 💘

Un post condiviso da Chiara Ferragni (@chiaraferragni) in data:

Advertising: sì o no?

Nel 2018, lo scenario evidenziava quanto la pubblicità su YouTube risultasse disturbante per il 75% degli intervistati. Neutra invece su Facebook e Instagram, rispettivamente per il 33% e il 34% degli italiani. Oggi la situazione risulta mutata: la percezione di utilità è cresciuta per tutti e tre i canali analizzati – +19% per Facebook, +7% per Instagram e +10% per YouTube – a dimostrazione che una targetizzazione sempre più mirata paga, in tutti i sensi.

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