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Lo stato di salute del giornalismo italiano tra covid, disinformazione e precarietà: l’allarme dell’AGCOM

Lo stato di salute del giornalismo italiano tra covid, disinformazione e precarietà: l’allarme dell’AGCOM

Durante l’emergenza Covid-19 la disinformazione ha viaggiato on line, principalmente su fonti online non tradizionali come social, motori di ricerca o sistemi di messaggistica. 3/4 dei giornalisti italiani (73%) si sono imbattuti in casi di disinformazione: il 78% di questi almeno una volta a settimana, mentre il 22% addirittura una volta al giorno. Sono dati non rassicuranti quelli che emergono dal terzo Rapporto dell’Osservatorio sul giornalismo, “La professione alla prova dell’emergenza Covid-19”, recentemente pubblicato dall’AGCOM.

L’emergenza COVID-19 ha rappresentato un importante banco di prova per il sistema dell’informazione, posto nuovamente al centro del dibattito pubblico e politico per il suo ruolo fondamentale nella circolazione di notizie e aggiornamenti di natura medico-sanitaria (e non solo) ma anche per i giornalisti stessi, alle prese con l’ascesa delle piattaforme online come intermediari dell’informazione e con la circolazione di contenuti, molto spesso, non corretti.

Covid a parte: qual è lo stato di salute del giornalismo italiano? La categoria soffre l’invecchiamento dei suoi professionisti, con la progressiva scomparsa di under 30 e una forte riduzione di under 40. Una diffusa precarizzazione evidente soprattutto nelle nuove testate digitali, che si avvalgono spesso di freelance. Quello che emerge è una preparazione specialistica insoddisfacente sui temi economici, scientifici e tecnologici che ha spinto, soprattutto durante il covid, la maggioranza dei giornalisti ad utilizzare fonti istituzionali e dare spazio, senza filtri e mediazioni, a scienziati ed esperti. Il mix di questi fattori ha spinto la professione ad una crescente ibridazione con attività attinenti al campo della comunicazione con molti giornalisti che iniziano a impiegarsi in uffici stampa e comunicazione di enti pubblici e privati, caratterizzate da maggiore possibilità di accedere a fasce reddituali medio-alte e minore precarietà professionale (e personale).

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“Rumors d’Ambiente”: il podcast sulla sostenibilità che porta la nostra firma

“Rumors d’Ambiente”: il podcast sulla sostenibilità che porta la nostra firma

Da oggi potrete ascoltare il Podcast “Rumors d’ambiente – Alla ricerca della sostenibilità”, realizzato per il nostro cliente Repower e che porta la nostra firma.

Di cosa si tratta? È il primo podcast interamente dedicato al mondo della sostenibilità, che viene raccontata in tutte le sue sfaccettature, dall’energia alla mobilità, dal design alla moda alla finanza. Per ogni tema, una puntata che racconta le vicende di donne e uomini del passato che hanno fatto la storia della sostenibilità; e un’intervista ai protagonisti di oggi. Il tutto raccontato dal giornalista e divulgatore scientifico Maurizio Melis, storica voce di Radio24 e appassionato di innovazione e sostenibilità.

Lo trovate online sul sito dedicato, e su tutte le principali piattaforme di podcast.

Come è nata l’idea? Ci abbiamo pensato a marzo, durante il primo lockdown. Un periodo che ha visto un profondo cambiamento nelle modalità di comunicazione delle aziende, e un forte aumento nel consumo di podcast in Italia: secondo una ricerca di Blogmeter per Audible, a marzo/aprile la discussione e l’interazione in rete su questi argomenti ha avuto uno slancio in termini di messaggi (157 mila, +70% rispetto a gennaio-febbraio) e interazioni (13,14 milioni, +60%). I podcast hanno riguardato 140 mila messaggi, il 91% del totale.

Per Repower abbiamo pensato al racconto narrato a voce come strumento di approfondimento e divulgazione di un tema coerente con i valori aziendali: sostenibilità e innovazione. I “branded podcast” sono infatti per le aziende uno strumento efficace per creare una comunità fedele di appassionati, e connettersi in modo più profondo con il proprio target, attraverso contenuti di qualità. La forza dei branded podcast è infatti la capacità di creare valore per chi ascolta.

Per “Rumors d’ambiente” ci siamo occupati di tutte le fasi del progetto: ideazione del concept e degli argomenti, proposta di temi e personaggi da intervistare, definizione del calendario delle puntate, scrittura dei testi.

Un assaggio? Nel podcast troverete, tra le altre, le interviste a Jeffrey Shnapp, fondatore del MetaLab di Harvard e pioniere delle Digital Humanities, Luca Travaglini, fondatore di Planet Farms, Italo Rota, uno dei più famosi architetti italiani, Enrico Giovannini, co-fondatore dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. E poi le storie di Octavia Hill, che creò i primi modelli di social housing negli slum della Londra vittoriana, Doris Day, con la storia della pelliccia ecologica, la biologa Rachel Carson, che per prima denunciò gli effetti dei pesticidi sulla natura e sull’uomo.
E ora, non vi resta che ascoltare (e, se volete, dirci cosa ne pensate: info@eoscomunica.it). Enjoy! ☺

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Cercare lavoro in tempi di Covid19: il boom di LinkedIn

Cercare lavoro in tempi di Covid19: il boom di LinkedIn.

C’è un legame tra la pandemia da Covid19 e la ricerca di lavoro su Linkedin? Secondo Micrsoft sembrerebbe proprio di sì. La società, che nel 2016 ha acquisito per la modica cifra di 26,2 miliardi di dollari il network professionale più utilizzato al mondo, ha reso noti recentemente i dati sui risultati del gruppo nel II quadrimestre  comunicando un incremento di LinkedIn pari al +31%  rispetto allo scorso trimestre: parliamo di 722 milioni di utenti nel mondo rispetto ai 675 di Gennaio di inizio anno.

Sono dati che, come spiega bene Social Media today, vanno presi sempre con le pinze dal momento che LinkedIn non rende noti i numeri degli utenti realmente attivi al giorno o al mese e risulta difficile distinguere quanti sono quelli semplicemente iscritti ‘perché occorre esserci’, e quanti invece sono realmente attivi sulla piattaforma.

Stando ai dati del rapporto di Microsoft, 3 persone sono assunte ogni minuto su LinkedIn e più professionisti si rivolgono alla piattaforma di formazione filiale, LinkedIn Learning, per aumentare il proprio capitale di conoscenza, guardando più di un milione di ore di contenuti ogni settimana, (più del doppio rispetto a un anno fa).

Ma cosa pensa il social network? Andrew Seaman, editor di LinkedIn News, ha recentemente pubblicato una ricerca che fotografa uno stigma molto diffuso tra chi ha perso il lavoro, anche a causa della pandemia, e cioè la vergogna e l’imbarazzo di far sapere alla propria rete di contatti di essere disoccupati. Seaman stila una serie di consigli utili per chi è alla ricerca di una nuova occupazione.

  1. Ripetersi di non esser soli: essere abbattuti, o stressati, per l’assenza di lavoro è normale e riguarda tutti
  2. Indagare tutte le strade possibili: mandare CV studiati e personalizzati, far sapere a tutti di essere alla ricerca di lavoro, non solo la propria rete professionale anche amici, familiari, ex colleghi, conoscenti, contatti sui social network
  3. Chiedere referenze alla propria rete
  4. Impostare bene i job alerts rispetto alle posizioni per le quali ci si vuole candidare
  5. Essere attivi sul social network non solo attraverso la ricerca di lavoro ma anche con articoli e pubblicazioni: postare regolarmente aumenta la possibilità di crearsi un nuovo network.

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Il giornalismo? Si fa su Linkedin! L’Economist ne sa qualcosa.

Il giornalismo?

Si fa su Linkedin. Parola di Economist

Per fare giornalismo occorre scegliere bene su quale social network stare. E’ finito il tempo del basta esserci, occorre avere una strategia. E’ quello che hanno fatto all’Economist, storico settimanale d’informazione politico-economica in lingua inglese, dove per due anni hanno studiato il modo migliore per essere presenti su Linkedin prima di tutto, contando su un bacino di oltre 700 milioni di utenti tra professionisti del business e persone alla ricerca di un impiego. Qualche numero sul social network per provare a contestualizzare: la consultazione da mobile, soprattutto per le notizie e l’informazione, è in forte espansione e il numero di utenti mobili di LinkedIn lo riflette: parliamo di 63 milioni di utenti unici al mese che consultano il social dal telefonino. Chi accede al social network? Parliamo della piattaforma di social media più utilizzata tra le società Fortune 500 con oltre mezzo miliardo di professionisti di tutto il mondo che si riuniscono su LinkedIn.

Insomma, studiare una strategia di content mirata per un giornale tanto influente come l’Economist non è stata affatto una mossa sbagliata. Anzi! In un anno i follower sono cresciuti del 39,5 per cento, i commenti sono aumentati del 251 per cento e, come risultato finale, sono cresciuti di molto gli abbonamenti provenienti dal social network,  fino ad arrivare ad un più che considerevole aumento del 300 per cento. Certo, Facebook e Twitter non sono stati abbandonati, si continua a fa condivisione ed a portare traffico al sito, ma non sono più il luogo principe in cui fare media business.

Qual è stata la strategia dell’Economist su Linkedin? Tenendo conto della differenza di fuso orario per una testata che viene letta in tutto il mondo, ogni giorno vengono pubblicate nove storie che spaziano, come la rivista online e cartacea sui temi dell’attualità, dell’economia, che resta il punto cardine, della politica e della cultura. E alcune di queste notizie trovano spazio anche sul canale YouTube come l’intervista a sir David Attenborough, divulgatore scientifico e naturalista britannico. 

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