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‘Make up the Future’: quanto impatta il settore della cosmetica sull’ambiente?

“Make up the Future”: quanto impatta il settore della cosmetica sull’ambiente?

Sapete quanto impatta il settore della cosmetica sull’ambiente? Prova a tirare le fila il Report “Make up the Future – Leve di cambiamento per un business della cosmetica sostenibile” di Quantis, società leader per la consulenza ambientale, per il quale curiamo l’ufficio stampa.

Secondo i dati, il settore cosmetico, (valore stimato di 863 mld di dollari nel 2024) impatta sul pianeta con emissioni globali di gas serra comprese tra lo 0,5% e l’1,5%.

Diversi i passaggi che impattano di più: si parte dall’estrazione delle materie prime con il 10% delle emissioni del settore, il packaging con il 20%, fino al trasporto col 10% e la fase d’uso del prodotto che impatta per ben il 40%.

Avere più dati, e di qualità, per individuare i punti “critici” della filiera, sottolinea lo studio, sembra essere un prerequisito indispensabile: dai dati si può partire per definire obiettivi e azioni che capitalizzino le esperienze positive delle aziende, oggi ancora troppo frammentate.

Sul ruolo dei dati, quantitativi ed oggettivi che possono trasformare le evidenze scientifiche in strumenti di business ne avevamo parlato qui.

Per creare prodotti con solide performance ambientali, suggerisce il rapporto, la sostenibilità deve entrare in ogni fase del suo ciclo di vita: dalla formulazione al fine vita passando per la distribuzione.

Occhio, poi, ad alcuni miti da sfatare! Come quello dell’utilizzo di “ingredienti naturali” che possono, talvolta, avere un impatto più elevato in termini di emissioni, uso del suolo e acqua. In alcuni casi, i materiali sintetici possono offrire un’alternativa con minore impatto, senza compromettere la qualità.

E i consumatori? Sono sempre più attenti al tema della sostenibilità dei prodotti che usano: il 78% degli intervistati infatti ricerca un packaging plastic-free, mentre il 76% desidera acquistare prodotti sostenibili o ottenuti da fonti rinnovabili e il 76% opta per packaging ricaricabili e riutilizzabili. Il 69% è influenzato dalla riduzione di carbonio mentre il 65% si informa e preoccupa della riduzione dell’impronta idrica.

‘Se fino a pochi anni fa la sostenibilità era un obiettivo perseguito in modo discontinuo’, spiega Simone Pedrazzini, Direttore Quantis Italia, ‘oggi è e una strada maestra nelle agende di organizzazioni sovranazionali, Governi e nelle politiche industriali. Il lancio del Green Deal Europeo ha infatti come scopo il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, ma non solo. Protezione della biodiversità, tutela delle risorse idriche e circolarità sono altri fra i pilastri di un piano d’azione che avrà sempre più impatto sui cittadini europei ed eserciterà crescenti pressioni sul business. Il nostro obiettivo è tracciare la strada verso una vera sostenibilità grazie all’educazione di tutti gli attori a buone pratiche che partono dalla quantificazione, dall’analisi dei dati, e da un reale cambio di rotta di cui tutta la filiera e tutti gli stakeholder sono parte attiva’.

A questi link gli articoli che Il Sole 24 ore e Fashion Network, hanno dedicato al rapporto.

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Smartworking, co-working: cosa sarà dei luoghi di lavoro dopo la pandemia?

Smartworking, co-working: cosa sarà dei luoghi di lavoro dopo la pandemia?

Cosa sarà dei luoghi di lavoro dopo la pandemia?  È un domanda che si stanno facendo in molti: dalle aziende che hanno sedi a capienza più che dimezzata, alle pubbliche amministrazioni, soprattutto delle grandi città, che hanno visto i propri centri svuotarsi, ai proprietari immobiliari, agli studiosi che si interrogano su come questa socialità persa possa ricomporsi, ai lavoratori stessi.

Con la pandemia il confine tra spazio di lavoro e spazio personale si è dissolto, e se da un lato lo smart working ha significato per molti la possibilità di riappropiarsi di tempo che, prima, era inevitabilmente perso, dall’altro l’ufficio resta uno spazio, per molti necessario, per il confronto, la vita sociale oltre le mura domestiche.

Con un rientro progressivo alla nuova normalità urge quindi un cambio di passo, sia per le aziende che per i lavoratori che si troveranno ad interagire in spazi inevitabilmente diversi, dove a cambiare saranno le dinamiche di relazione tra persone che torneranno a lavorare in sede, non più tutti i giorni, richiedendo standard di protezione e sicurezza, sicuramente più alti del passato.

Si apre quindi una grande sfida per gli architetti e progettisti degli spazi di lavoro, tra i professionisti che proprio in questa fase sono chiamati ad offrire soluzioni e alternative in gradi di soddisfare le diverse esigenze in campo. Noi di eos comunica abbiamo cominciato a seguire l’ufficio stampa di Design to Users, studio di architettura milanese, proprio nel pieno del primo lockdown, è abbiamo affrontato con loro in prima linea l’evolvere del dibattito sui luoghi di lavoro.

In questo contesto si inserisce l’apertura della più grande sede di WeWork in Italia, in via Mazzini a Milano, di cui D2U ha curato lo sviluppo del progetto e l’adattamento del concept, trasformando un intero edificio di 8 piani e 7700 mq in spazi di lavoro luminosi, con sale riunioni smart ed uffici privati, capaci di adattarsi alle esigenze sempre più dinamiche di imprenditori, professionisti e creativi.

Con la pandemia e la conseguente diffusione dello smart-working, gli spazi di co-working stanno rappresentando sempre di più un’alternativa al lavoro da casa, con Milano in testa tra le città più attive per la presenza di spazi di lavoro di co-working. Questi spazi, tuttavia, devono oggi essere in linea con una normativa molto più stringente e completamente diversa in termini di sicurezza e standard: dal distanziamento sociale con posti a sedere sfalsati e zone cuscinetto, alla segnaletica comportamentale per aiutare i fruitori ad utilizzare gli spazi in totale sicurezza, alla maggiore igiene e pulizia.

Secondo Jacopo della Fontana, partner in charge del progetto e CEO di D2U l’apertura di una nuova sede di uno spazio di co-working può dare un segnale molto forte di una graduale ma importante e quanto mai necessaria ripresa. ‘Un’esperienza sfidante soprattutto per l’alto livello tecnologico di efficienza e di interazione a distanza, che ci ha permesso di portare a termine il lavoro commissionato nei tempi richiesti’.

Come ricorda Muhannad Al Salhi, in questo video, DG di WeWork Italia e Spagna ‘a seguito della pandemia non ci sarà più la centralizzazione degli uffici in un’unica sede ma si affermerà un ‘hub and spoke’ model: un ufficio e tanti piccoli punti di appoggio nella stessa città’.

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Imparare il Latino con l’Intelligenza Artificiale? Si può con la piattaforma “Atticus”

Imparare il Latino con l’Intelligenza Artificiale? Si può con la piattaforma “Atticus”

Si chiama “Atticus” ed è la prima piattaforma digitale per l’apprendimento del latino con l’intelligenza artificiale e arriva ora in Italia grazie a un accordo tra Pearson, casa editrice leader mondiale nel settore education – che seguiamo come ufficio stampa per alcuni progetti    ed EvidenceB, l’azienda ed-tech francese che ha sviluppato la piattaforma e progetta moduli di apprendimento di nuova generazione fondati su sistemi di intelligenza artificiale.

Atticus funziona attraverso 5 moduli che allineandosi al grado di preparazione iniziale di ogni studente, consentono di personalizzare in tempo reale il percorso di apprendimento in relazione a tutti gli ambiti della lingua latina: dalla morfologia nominale a quella verbale, dal lessico alla sintassi.

Gli algoritmi di intelligenza artificiale utilizzati sono due: il primo è di personalizzazione e determina le attività adatte al livello dell’alunno, il secondo – il clustering – raccoglie diverse informazioni durante le sessioni di lavoro degli studenti (tasso di riuscita di un esercizio, tempo di risposta dell’alunno, ecc.) e le comunica agli insegnanti. Grazie a questi elementi, l’algoritmo forma gruppi di alunni che presentano caratteristiche simili, fornendo al docente una visione dettagliata dei gruppi.

All’insegnante è fornito un pannello di controllo che sintetizza le informazioni raccolte con le quali monitorare l’andamento, visualizzare i progressi degli studenti, le difficoltà, i percorsi di apprendimento personale in modo da creare una didattica differenziata, ricca di sfumature sia per i singoli alunni che per l’intera classe.

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Giornata Mondiale del riciclo

Giornata Mondiale del riciclo. Pratica virtuosa per le aziende? Importante è partire dai dati.

Si celebra oggi la giornata mondiale del riciclo. Istituita nel 2018 dalla Global Recycling Foundation, questa ricorrenza vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sull’urgenza di una maggiore tutela ambientale grazie al riutilizzo, riparazione, o ricondizionamento di materiali e prodotti il più a lungo possibile al fine di estenderne il ciclo di vita.

A fronte di una crescente presa di coscienza dell’importanza dell’economia circolare, è necessaria, tuttavia, l’adozione di meccanismi di mappatura dei reali impatti ambientali generati, settore per settore, per comprendere dove e come agire per migliorare lo status quo che, per un’azienda, si traduce nella necessità di capire come trasformare questa visione in azioni concrete evitando la trappola del “greenwashing”.

Come procedere dunque? Partendo dai dati.

È quello che sottolinea Quantis, società leader nella consulenza ambientale e per la quale curiamo l’ufficio stampa, che coglie l’occasione, in questa giornata, di ribadire la necessità di un approccio che scelga, come punto di partenza, dati quantitativi ed oggettivi per trasformare le evidenze scientifiche in strumenti operativi al servizio del business.

Occorre partire dalla mappatura del ciclo di vita di un prodotto e dell’intera azienda, con cui si possono quantificare e tracciare gli impatti di ogni fase produttiva e non. Questo perché l’obiettivo finale, secondo Quantis, non è la realizzazione di un sistema circolare fine a sé stesso, ma il perseguimento di soluzioni che minimizzino gli impatti ambientali e massimizzino la creazione di valore sostenibili.

Il riciclo porta benefici di circolarità (minore necessità di produrre materia prima vergine, minore occupazione delle discariche, maggior valore estratto da un materiale, ecc.) ma potenzialmente un maggior utilizzo di energia e risorse (per implementare il take back system, per la logistica, per l’energia necessaria agli stessi processi di riciclo).  Pensare un prodotto in logica di Life Cycle significa, allora, modellizzarlo adottando soluzioni di eco-design, per rendere il prodotto facile da riparare, da disassemblare, da smaltire, grazie all’assenza di materiali o sostanze chimiche che ne impediscano la riciclabilità.

Uno dei settori che negli ultimi anni ha un approccio ambizioso in termini di sostenibilità ambientale è la moda che secondo i dati del Report Quantis “Measuring Fashion” è responsabile dell’8% delle emissioni di gas a effetto serra su scala globale.

La portata e la complessità delle sfide legate ad una scelta di circolarità per il settore Fashion richiedono un approccio sistemico – sottolinea Simone Pedrazzini, Direttore Quantis Italia – gli sforzi per la sostenibilità devono essere integrati in ogni processo produttivo e richiedono una solida collaborazione tra team”.

Qualcosa si sta muovendo a livello di sistema se si pensa al Fashion Pact la coalizione di aziende globali leader del settore della moda e tessile impegnati al raggiungimento di una serie di obiettivi condivisi e focalizzati su tre aree: arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani. Oggi il Fashion Pact comprende 60 membri, che insieme rappresentano 1/3 del settore della moda e che vogliono agire collettivamente per incrementare l’impatto sull’ambiente e ottenere risultati concreti.

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Icone. Racconti astrologici rivoluzionari

“Icone. Racconti astrologici rivoluzionari”: il secondo podcast firmato eos comunica insieme a La Ginny.

Ci abbiamo preso gusto e dopo ‘Rumors d’ambiente – alla ricerca della sostenibilità’ realizzato per Repower Italia eccoci con un nuovo progetto di podcast, completamente diverso ma ugualmente interessante.

Si tratta di ‘Icone. Racconti astrologici rivoluzionari, il primo podcast dedicato ai personaggi e agli oggetti che hanno segnato la nostra epoca, raccontati attraverso la loro carta astrale realizzato insieme a La Ginny, astrologa voce dell’”Oroscopo in un minuto” e dell’”Oroscopazzo” di Radio Deejay.

Un viaggio che vuole celebrare non solo i protagonisti che hanno segnato il mondo dello spettacolo, della musica e dell’imprenditoria, ma anche gli oggetti iconici che hanno rivoluzionato la nostra vita quotidiana: dalla lavatrice al walkman, dalla minigonna al reggiseno, ogni storia raccontata dalla voce della Ginny porta lo spettatore nel mondo astrologico che ha segnato la nascita di queste icone, raccontandone la storia e spiegandone i tratti più significativi attraverso la lettura delle stelle.

Da oggi sono online sul sito unaparolabuonapertutti.it e su tutte le principali piattaforme di podcasting le prime due puntate del progetto, dedicate alla minigonna e a Chiara Ferragni. La storia della minigonna è raccontata attraverso la carta astrale della sua ideatrice, la britannica Mary Quant, che con il suo segno (l’acquario) e il suo ascendente (il leone) ha segnato anche il futuro della mini, conferendole una forte personalità attraverso un netto taglio col passato. Quella su Chiara Ferragni è una puntata che vuole essere un omaggio a una delle icone del mondo della moda, dello spettacolo e della società, la cui carta astrale molto ci dice del mondo che ha creato e del futuro che si sta disegnando addosso.

Tutte le puntate sono disponibili sul sito dedicato e gratuitamente sulle principali piattaforme di podcast: vi aspettiamo!

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Torna il WeWorld Festival e si fa in due: si comincia il 4 marzo con Emma Dante

Torna il WeWorld Festival e si fa in due: si comincia il 4 marzo con Emma Dante

Un festival digitale, in attesa della sua versione, in presenza: quest’anno il We World Festival si fa in due e, in attesa dell’11.ma edizione che si terrà, eccezionalmente, nel mese di maggio al BASE di Milano, presenta la sua Edizione Speciale in digitale, il 4 e il 5 marzo prossimi, in diretta streaming sulla pagina ufficiale Facebook di WeWorld.

Sessimo sul luogo di lavoro, ecofemminismo, stereotipi di genere, emancipazione femminile e migrazioni: questi i temi che si affronteranno con due giorni di talk e confronti virtuali.

Tra i protagonisti di questa edizione speciale, che ci vede al fianco della onlus sia nella veste di ufficio stampa che nell’organizzazionwe dei contenuti, la regista e drammaturga Emma Dante, Florencia Santucho, direttrice del Festival dei Diritti Umani di Buenos Aires e la graphic journalist Takoua Ben Mohamed insieme alla designer/letterer Ferdaous Harfi.

Durante la prima giornata Festival sarà presentata “ShePoverty: la povertà è donna”, la ricerca commissionata da WeWorld ad IPSOS che fotografa l’inclusione economica delle donne italiane ai tempi del Covid-19,  e il talk tra la drammaturga e regista Emma Dante, da sempre attenta nel suo lavoro alle tematiche femminili, e la giornalista e scrittrice Elena Stancanelli, su stereotipi del maschile e del femminili.

Principesse senza principi, eroine senza salvatori che trovano la propria forza in se stesse: queste sono le donne senza stereotipi raccontate dalla Dante nel suo libro “E tutte vissero felici e contente” (La Nave di Teseo), la cui presentazione sarà accompagnata da un momento di teatro con gli attori Italia Carroccio e Davide Celona, che interpretano lo specchio e la regina tratta da “Gli alti e bassi di Biancaneve”, una delle fiabe reinventate dalla regista palermitana nel suo libro.

La seconda giornata vedrà invece protagonista la graphic journalist Takoua Ben Mohamed e la designer/letterer Ferdaous Harfi, con la partecipazione speciale della sociolinguista ed esperta di comunicazione digitale Vera Gheno. Quanto pesano il linguaggio e gli stereotipi nell’alimentare una cultura sessista e patriarcale anche quando si tratta di aiutare gli altri? Le due giovani artiste saranno protagoniste di una una performance artistica, riflessione visiva sul tema degli stereotipi di genere, in particolare quelli legati al linguaggio della solidarietà.

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Le PR nell’era Covid-19

Le PR nell’era Covid-19

Siamo quasi alla soglia di un anno di Covid-19, un anno passato tra mille interrogativi e dubbi, speranze e ricadute. Un anno ricco di sfide, anche professionali, per chi come noi lavora nel mondo delle pr e della comunicazione.

Quella delle agenzie di pubbliche relazioni è un’attività che si basa, ça va san dire, sull’interazione e sui rapporti umani. Una buona parte dell’attività quotidiana di un ufficio stampa, corporate o di prodotto che sia, è basata sulla relazione con i giornalisti e i clienti e, ancor di più, sul creare opportunità di incontri. A volte, infatti, un comunicato stampa o un company profile non sono sufficienti a un giornalista per comprendere valori e contenuti di una realtà aziendale, dalla portata di innovazione al peso della sua storia, dagli obiettivi di crescita ai progetti futuri. C’è un universo di sfumature non verbali che solo in presenza possono essere colte. Dalle conferenze stampa ai giri in redazione, dalle chiacchiere informali ai pranzi di lavoro, il Covid-19 quest’anno, ha cancellato la possibilità di una serie di opportunità e di incontri, ridefinendo tempi e modalità di una parte integrante del nostro lavoro quotidiano.

Il boom di piattaforme per gli eventi virtuali o il fiorire di eventi digitali dimostrano la resilienza del settore della comunicazione, così come la sua capacità di trasferire forza e creatività in innovative architetture professionali.

Ma tutti i processi e le attività di un’agenzia di comunicazione possono essere semplicemente traslati in una dimensione a distanza?

L’esperienza sembrerebbe dire di sì, portandoci ad abbracciare con fiducia questa nuova “normalità” ma, ci sentiamo di dire, con un paio di riserve: l’assenza di socialità si sente, e nel mondo delle Pubbliche Relazioni, non tutto riesce a passare attraverso il filtro del digitale. C’è un universo di possibilità e sfumature che resta appannaggio del mondo fisico. Insomma, il segreto, come sempre, è nel mezzo. “In medio stat virtus” dicevano i latini. Saper calibrare effort e risultati, scegliere occasioni e piattaforme, fisiche o digitali, rinunciando a una parte o all’altra a seconda delle opportunità: questa la sfida che saremo tutti chiamati a correre nell’era delle PR post Covid-19.

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La comunicazione aziendale ai tempi del lockdown? Promossa a pieni voti

La comunicazione ai tempi del lockdown? Promossa a pieni voti.

La comunicazione aziendale ai tempi del lockdown promossa a pieni voti: ad affermarlo è il rapporto CensisAscai sulla Comunicazione di impresa in Italia. L’obiettivo della ricerca è stato quello di rilevare le modalità e i contenuti che stanno guidando i processi e i comportamenti comunicativi delle aziende nell’emergenza sanitaria, e quali sono i cambiamenti destinati ad affermarsi nella comunicazione corporate da adesso in poi.

La pandemia ha generato un’onda d’urto che ha avuto effetti importanti nella comunicazione delle aziende con i dipendenti. Cosa ha colpito nel segno? Prima di tutto l’informazione. Soprattutto nel far sentire la vicinanza, laddove per ragioni di emergenza sanitaria occorreva stare distanti: ben il 93,2% dei lavoratori italiani, fotografa il rapporto Censis-Ascai, ha avuto modo di leggere, ascoltare, guardare su giornali e riviste, in tv, radio o su Web e social l’advertising delle aziende.

“Ampia – si legge –  è stata la visibilità della comunicazione corporate, da quella mirata a ringraziare pubblicamente i propri dipendenti per l’impegno profuso, al richiamo ad iniziative di solidarietà, fino alle incitazioni a comportamenti responsabili e attenti”. E le reazioni sono state più che positive: ben il 62,4% dei lavoratori di fronte alla comunicazione in cui si è imbattuto ha avuto una qualche reazione positiva, con percentuali che arrivano al 66% tra i millennial, al 66,4% tra dirigenti e direttivi, al 62,5% tra i laureati. Secondo la ricerca, questa buona pratica continuerà: per il 46,8% dei lavoratori italiani la comunicazione aziendale nel futuro dovrà coinvolgere, motivare, far sentire i lavoratori parte integrante di una comunità, con percentuali più elevate tra chi ricopre posizioni apicali (60%) e laureati (52,1%).

L’esperienza del lockdown ha radicato il bisogno di sentirsi parte di una comunità aziendale, che non lascia soli i dipendenti. Pensando al domani, il 52,6% degli intervistati ritiene che il peso della comunicazione aziendale nei processi decisionali crescerà ulteriormente. Come? Attraverso trasparenza e sincerità sul vissuto delle persone, attenzione al posto di lavoro, al benessere dei dipendenti, alla collettività.

E per quanto riguarda lo smartworking? Il tema è molto caldo, noi di eos comunica lo seguiamo da vicino. Pensando al futuro dei contesti aziendali nel post Covid-19, per il 52,6% dei lavoratori italiani ci sarà più smartworking. L’esperimento di massa del lavoro a distanza avvenuto nel lockdown non è percepito come estemporaneo, ma destinato a ridefinire il lavoro e il rapporto tra dipendenti e azienda: qui si innesta una sfida decisiva per la comunicazione aziendale interna, percepita come fondamentale nel garantire la coesione dentro comunità aziendali alle prese con modelli ibridi di erogazione del lavoro tra distanza e compresenza fisica.

Questo sentiment trova corrispondenza anche nell’altro lato della medaglia, quella dei comunicatori aziendali. Stando all’indagine Censis-Ascai il 78,2% valuta in modo ottimo o buono l’operato complessivo della comunicazione aziendale durante il lockdown che ha avuto anche il ruolo decisivo di massimizzare l’impatto delle iniziative adottate durante l’emergenza: dall’adozione di politiche e strumenti per il lavoro a distanza (100%), ad iniziative di responsabilità sociale di impresa (78,2%), a quelle di formazione (75,6%), a iniziative di riconoscimento pubblico dell’impegno dei dipendenti (75,6%), fino all’attivazione di strumenti di caring per la gestione della vita lavorativa e privata (66,7%). Nel futuro della professione due parole d’ordine: innovazione e integrazione: per l’83,3% degli intervistati sarà necessario da una parte sviluppare nuove competenze digitali, culturale e relazionali per stare al passo coi tempi, dall’altra rendere più forte l’intreccio tra comunicazione interna e comunicazione esterna.

Per la visione integrale del rapporto Censis–Ascai clicca qui.

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D2U: da Headquarter a Hubquarter, come cambia l’ufficio del futuro.

D2U porta ad All Around Work lo smart working del futuro: dall’Headquarter all’Hubquarter.

Al via da domani All Around Work, la manifestazione biennale dedicata all’evoluzione degli ambienti lavorativi, che debutta quest’anno sulla piazza milanese presso lo spazio MegaWatt Court . Si tratta di tre giorni di dibattiti dedicati ai luoghi di lavoro e al diritto al benessere psicofisico dei lavoratori.  Noi di eos comunica saremo al fianco della società di architettura Design to Users, per la quale curiamo la presenza sulla stampa e la comunicazione social.  D2U insieme a eFM (società nata nel 2000 con l’obiettivo di innovare il mercato del real estate con la digitalizzazione e l’ottimizzazione dei processi) presenterà una nuova proposta di lavoro integrato: dall’Headquarter all’Hubquarter.

Parliamo di una prospettiva per ripensare il modo di gestire spazi, persone e tecnologie che dia centralità ad una community, per forza di cose, sempre più diffusa. Per l’occasione sarà presentata la piattaforma Myspot che permette di accompagnare le aziende nella revisione del concetto di smart-working, attraverso un’analisi dei bisogni e creazione di un ecosistema di luoghi ed esperienze che uniscano spazi, tecnologie e routine organizzative in un unico Workplace-Hub più ricco in termini di coinvolgimento, apprendimento e integrazione.

Uno dei co-fondatori di Design to Users Corrado Caruso sarà protagonista l’8 ottobre, dell’incontro conclusivo dell’evento dedicato a una riflessione sul futuro degli edifici per uffici e sul loro rapporto con il tessuto e l’economia delle città. I molti edifici e spazi realizzati di recente nel nostro paese, e gli altrettanti in cantiere, quale destino si preparano ad affrontare? Nell’intervento di Caruso dal titolo ‘Nuovi edifici per uffici, il codice italiano’, si presenterà una nuova visione dello smart-working, focalizzata sui cambiamenti necessari in termini di quantità e nuovi modi d’uso dello spazio per arrivare preparati a una nuova “normalità” lavorativa post emergenza tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021.

La costruzione dei nuovi scenari fisici dell’ufficio sarà caratterizzata da una nuova declinazione degli ambienti dove lavoreremo, un nuovo mix di spazio reale e virtuale, appunto l’“Hubquarter”, che permetterà di disegnare nuove postazioni a casa per il lavoro smart da remoto, creando spazi di co-smart working all’interno degli spazi comuni condominiali dove abitiamo, spazi di co-working o uffici satelliti, anche decentrati, e spazi di lavoro nelle sedi aziendali di oggi trasformati per le nuove necessità di relazione ed interazione tra le persone. Parliamo di uno spazio caratterizzato da un ripensamento degli open space e dalla creazione di spazi per la socializzazione e la comunicazione virtuale. Gli attuali spazi comuni aziendali si ibrideranno, trasformandosi in “smart canteen” in cui lavorare dopo un pasto prenotato tramite app; grandi hall e auditorium che saranno organizzati in nuovi spazi modulari di comunicazione e relazione.

Queste trasformazioni fisiche saranno organizzate in un progetto multidisciplinare e concorreranno alla definizione del nuovo space-budget che permetterà alle aziende di valutare eventuali riduzioni e ottimizzazioni d’uso del proprio patrimonio immobiliare.

All Around Work è ideata da Bologna Fiere e events factory, un momento di riflessione che, alla luce della pandemia globale in corso e del ripensamento dello smart working, diventa più che mai attuale.

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Il giornalismo? Si fa su Linkedin! L’Economist ne sa qualcosa.

Il giornalismo?

Si fa su Linkedin. Parola di Economist

Per fare giornalismo occorre scegliere bene su quale social network stare. E’ finito il tempo del basta esserci, occorre avere una strategia. E’ quello che hanno fatto all’Economist, storico settimanale d’informazione politico-economica in lingua inglese, dove per due anni hanno studiato il modo migliore per essere presenti su Linkedin prima di tutto, contando su un bacino di oltre 700 milioni di utenti tra professionisti del business e persone alla ricerca di un impiego. Qualche numero sul social network per provare a contestualizzare: la consultazione da mobile, soprattutto per le notizie e l’informazione, è in forte espansione e il numero di utenti mobili di LinkedIn lo riflette: parliamo di 63 milioni di utenti unici al mese che consultano il social dal telefonino. Chi accede al social network? Parliamo della piattaforma di social media più utilizzata tra le società Fortune 500 con oltre mezzo miliardo di professionisti di tutto il mondo che si riuniscono su LinkedIn.

Insomma, studiare una strategia di content mirata per un giornale tanto influente come l’Economist non è stata affatto una mossa sbagliata. Anzi! In un anno i follower sono cresciuti del 39,5 per cento, i commenti sono aumentati del 251 per cento e, come risultato finale, sono cresciuti di molto gli abbonamenti provenienti dal social network,  fino ad arrivare ad un più che considerevole aumento del 300 per cento. Certo, Facebook e Twitter non sono stati abbandonati, si continua a fa condivisione ed a portare traffico al sito, ma non sono più il luogo principe in cui fare media business.

Qual è stata la strategia dell’Economist su Linkedin? Tenendo conto della differenza di fuso orario per una testata che viene letta in tutto il mondo, ogni giorno vengono pubblicate nove storie che spaziano, come la rivista online e cartacea sui temi dell’attualità, dell’economia, che resta il punto cardine, della politica e della cultura. E alcune di queste notizie trovano spazio anche sul canale YouTube come l’intervista a sir David Attenborough, divulgatore scientifico e naturalista britannico. 

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